Tutte
le domeniche, Tiziano mi vedeva con pantaloni di velluto alla zuava,
piccozza e sopra lo zaino, la corda. Non per esibizionismo, semplicemente il
piccolo La Fuma rosso non era sufficientemente capiente.
Tiziano
era uno dei ragazzi, con cui giocavo a pallone nel prato adiacente alle
palazzine. Un giorno, durante una partitella, mi chiese della mia passione per
la montagna ed espresse il desiderio di aggregarsi per provare l’ebbrezza
dell’arrampicata.
Nonostante
avessi un curriculum limitato a qualche salita per via normale sui 4000 del
Rosa e ad un paio di creste di terzo grado, sempre aggregato ai “vecchi” del
CAI, progettammo di andare alla Torre delle Giavine, un monolito alto novanta metri
con tre vie di difficoltà fino al quinto grado superiore e artificiale.
Per
l’avventura dovevamo procurarci due corde, necessarie per la discesa in doppia, e
un auto per raggiungere Boccioleto, piccolo comune della Val Sermenza dove si
erge la Torre delle Giavine. Possedevo una Mammut arancione da undici millimetri e l’altra,
un vecchio cordone di canapa, appesa al muro quale cimelio, la ricuperammo nella
sede CAI. L’auto, fu implorata a Fausto, il padre di Tiziano che non si
fidava del figlio neo patentato.
A
bordo della 600 TL, turismo lento, come ironizzava Tiziano, partimmo spensierati
e smaniosi di “fare” la Torre, palestra riservata ai migliori alpinisti. Il mio andare in montagna era limitato a semplici escursioni
alpinistiche e comunque, guidato da esperti che si assumevano ogni decisione e
responsabilità, sopprimendo quel senso di libertà e creatività.
Ero
dunque galvanizzato, finalmente potevo misurarmi, su difficoltà sconosciute, da
capocordata e vivere l’impulso dell’avventura. Ma giunti a Boccioleto e posteggiato l’auto, mi prese
lo scoramento: Tiziano era senza scarponi.
Nel
1970 si arrampicava con grossi scarponi di pelle, un paio di numeri più
grandi, dato che a sedici anni si cresce ancora …
Ma
come, non hai gli scarponi? E adesso cosa facciamo?
Laconica
la risposta: "Tu sali e poi mi cali i tuoi scarponi, mica potevo comprarli senza
sapere se mi piacerà arrampicare".
"Ma non è possibile" e gli spiego che calare gli scarponi ad ogni tiro di corda è problematico perchè la via normale si sviluppa in continui
traversi. Tiziano non demorde e suggerisce di salire la Nord che comporta solo due lunghezze di corda, entrambe con una linea d'arrampicata perpendicolare.
"Scherzi,
è tutta in artificiale, sei senza imbrago, non abbiamo moschettoni sufficienti e poi con le staffe mi sono cimentato solo un paio di volte al
monolito San Giulio", una guglia di calcare alta poco più di venti metri.
Se
avevo qualche titubanza ad affrontare da "primo" la via normale,
figuriamoci la Nord! Tuttavia, l’insistenza dell'amico, l’audacia della
giovinezza e il desiderio di arrampicare, prevalicarono sull'esitazione.
I
primi dieci metri di arrampicata furono problematici, per i chiodi traballanti infissi nella
roccia strapiombante e non solo. Poi, utilizzati tutti i moschettoni per
assicurarmi ai chiodi di progressione, dovetti sopperire con degli anelli di
cordino, manovre che rallentarono nuovamente la scalata. Giunto alla sosta,
attuai la strategia del lancio degli scarponi. Uno, due ed ecco uno scarpone
finire in una buca tra le giavine alla base della Torre. Tiziano tribolò non poco per ricuperarlo, d’altronde
se non ci sono inconvenienti non si può parlare di avventura.
Tiziano,
che mai aveva arrampicato in assoluto, quando mi raggiunse alla sosta
esordì: "Faccio che continuare, così non perdiamo tempo a “passarci” gli
scarponi". Dopo avergli rammentato come fare i nodi di giunzione ai cordini, iniziò, "raspando”, ad infilare un chiodo dopo l’altro. Al termine del tiro di corda non poteva
lanciarmi gli scarponi, perchè essendo la parete appena superata strapiombante, sarebbero finiti alla base della parete e non sul terrazzino dove mi trovavo. Quindi ricuperò una corda
passante nei rinvii e al suo capo legò gli
scarponi, poi li calò sino all’altezza del terrazzino e li fece pendolare in modo
che potessi afferrarli. Non fu semplice, ma dopo varie imprecazioni, riuscii a
riappropriami dei miei scarponi e iniziare la salita, assicurato con una sola
corda da Tiziano, mentre l’altra penzolava verticale a diversi metri dalle mie spalle, dando la misura
dello strapiombo e qualche brivido di vertigine.
Quando raggiunsi
il compagno, l'appetito ci indusse a rinunciare alla cima che si trova
qualche metro più in alto e scendemmo veloci in corda doppia per avventarci
sugli zaini - lasciati alla base del monolito - per consumare il pranzo al sacco:
salame, uova sode, antipasto milanese e sardine. Tiziano aveva anche una
cotoletta panata, toma, l’immancabile banana e biscotti strudel con ricamo di
latte condensato. Ai tempi, non c’erano le barrette energetiche!
Tra
un boccone e l’altro, decidemmo di salire anche la via normale, dato che scendendo
in doppia avevamo constatato che le soste, essendo
una sopra l’altra, rendeva possibile la calata degli scarponi. Quindi, dopo
esserci rifocillati, mi apprestai a salire il primo tiro di corda ed iniziare il
carosello degli scarponi: svilarli, legarli alla corda, calarli, aspettare che li calzasse e recuperare il compagno. A metà del
secondo tiro, alla fine della placca, prima del traverso, constatando che sarebbe stato impossibile calare gli
scarponi, rassicurai Tiziano che i passaggi potevano essere superati
facilmente anche scalzi e continuai sino alla sosta. Poco dopo mi raggiunge a
piedi nudi con i calzettoni che fuoriuscivano dalle tasche. Eravamo euforici,
compiaciuti di aggiungere avventura all’avventura. Seguì il passaggio della
“foglia”, una esposta lama oscillante e con l’impegnativo ultimo tiro, facemmo il
pieno di adrenalina che, raggiunta la sommità della Torre, esplose in
manifestazioni di gioia. Nello stringerci la mano e varie pacche sulle spalle,
ci sentimmo alpinisti provetti.
Torre delle Giavine
Gae sul 1° tiro della Nord
Commenti
Posta un commento